Centauro contropallato
La mini guida su Bali e Lombok che ho rabbato senza pietà nei giorni scorsi alla guesthouse di Mister Thomas a Rote Island parla chiaro: Bali non è decisamente il posto per imparare a guidare una moto.
Traffico intenso, strade strette con sabbia ai lati, gente e animali che attraversano in continuazione, unito ad un inesistente rispetto per le più elementari regole del codice della strada fanno si che sia altamente sconsigliato noleggiare un mezzo a due ruote, soprattutto per i neofiti come me, che ho come unica esperienza in motorino praticamente un solo giretto nelle campagne del Laos circa un anno e mezzo fa.
Ovviamente me ne sbatto le balle e tempo zero starò scorrazzando beatamente per quel labirinto di sensi unici che è Kuta, la città più turistica dell'isola, in cui mi perderò con una facilità incredibile almeno 20 volte!
Presa confidenza col mezzo e acquistata una improponibile cartina stradale di Bali, decido di cominciare l'esplorazione dell'isola da sud-est, cavalcando la nuova (e non ancora del tutto terminata) strada che bypassa le montagne, passando lungo la costa.
A parte il rischio costante di essere travolto da camion che trasportano sassi (ma quanti cazzo di sassi devono trasportare a Bali?) o di volare a causa delle voragini presenti lungo i tratti non ancora asfaltati, la strada si rivela piacevole e divertente ed è quindi con sommo dispiacere che l'abbandono all'altezza del bivio con Semarapura (o Klungkung che dir si voglia) per poi perdermi inevitabilmente nelle campagne balinesi anche grazie ad una segnaletica stradale che lascia alquanto desiderare e che fa di tutto per non farmi trovare la città di Ubud, la mia meta.
Ubud si può definire la capitale culturale di Bali, è famosa infatti per le danze, tra cui spicca la Barong, e per l'architettura tipica. Il posto devo ammettere che è una figata e lo stile di vita tranquillo che c'è qua fa da contraltare al bordello tipico di Kuta. Non è un caso infatti che rimanga in città per ben due giorni prima di ripartire verso nord.
Questa volta la meta è Trunyan, piccolo villaggio sulle rive del lago Batur e con alle spalle l'omonimo vulcano (omonimo del lago, non del villaggio), famoso per essere esploso anni addietro proprio durante un'importante cerimonia religiosa che si tiene una volta al secolo, uccidendo buona parte dei presenti. Trunyan è l'ultimo villaggio degli aborigeni tradizionali balinesi, i quali seguono una religione tutta loro e hanno la particolarità di non seppellire i defunti, lasciandoli marcire all'aria aperta all'interno di particolari gabbie di legno in un cimitero inaccessibile via terra: l'unico modo per accedervi è chiedere un passaggio in barca agli abitanti del villaggio e andarci via lago. Onestamente mi sono un po' preso male a chiedere a sta gente di darmi uno strappo per farmi vedere i loro parenti marcire, innanzitutto perchè mi sembrava proprio il classico turismo macabro sullo stile di quegli sfigati che vanno a Cogne a fotografare la villa della Franzoni tanto per capirci, e un po' perchè la gente del posto non ha la fama di essere tanto simpatica e/o ospitale.
Provo a sondare cautamente il terreno prima di avventurarmi in richieste che potrebbero essere offensive, ma capisco ben presto che a Bali la morte è vissuta in maniera totalmente diversa rispetto all'occidente e questo lo vedrò meglio anche in seguito.
Nessun problema dunque per il tizio che mi da il passaggio in barca, il quale mi spiega che loro dispongono di un quantitativo limitato di gabbie dove mettere i morti e quando nel villaggio schioppa qualcuno non si fanno nessun problema a liberare una gabbia, ammucchiando le vecchie ossa in una catasta in un angolo, dopodichè lasciano una manciata di riso e qualche rupia perchè il defunto possa pagare il Caronte balinese e stop.
Avendo sbrigato alla svelta la visita a Trunyan decido di proseguire verso la costa nord, quando però un'improvviso nubifragio mi sorprende dalle parti di Kintamani, obbligandomi a trovar rifugio in un internet cafè pieno zeppo di mocciosi incuriositi dalla mia presenza e ad acquistare un provvidenziale impermeabile da motociclista che mi salverà da una sicura broncopolmonite, visto che questa è la zona montana di Bali e l'aria è piuttosto freschina. Proseguo a singhiozzo, fermandomi quando comincia a piovere troppo e scannando di cristo quando invece finalmente la smette ed è così che arrivo fino ad Amed, villaggio sull'estremità orientale dell'isola.
Qui assisto alla seconda lezione sulla cultura dei morti a Bali: attratto da una folla di gente urlante, mi avvicino a questa specie di sagra paesana, con gente che mangia, ride, beve, canta, balla. Alchè chiedo a uno dei tizi presenti, che nel frattempo mi invita a unirmi a loro, che cosa stesse accadendo. Funerale, mi risponde il giovincello. "In che senso funerale???" - dico tra me e me - notando che non c'è una sola faccia triste o una mezza lacrima mentre dei giovani virgulti stanno decorando con fiori una specie di torre (detta Wadah) al cui interno sono contenute le ceneri del defunto.
Dopo tutta sta cerimonia i più forti del gruppo si caricano sulle spalle il Wadah e lo portano verso il mare, dove pregano un po' e alla fine lo distruggono a calci per poi buttarlo in mare, il tutto condito da fragorose risate. Il funerale più divertente che abbia mai visto!
L'indomani faccio ritorno a Kuta e sulla va del ritorno faccio a tempo a sperimentare di persona quanto siano stronzi gli sbirri locali che, con scuse poco plausibili, mi fermano per ben 3 volte nel giro di mezz'ora scucendomi la bellezza di 200.000 rupie di "mancia" per farmi mollare. Siccome pare che sia la prassi da queste parti, pago senza fare troppe menate, non prima però di aver loro augurato calorosamente di finire in un Wadah al più presto!
Traffico intenso, strade strette con sabbia ai lati, gente e animali che attraversano in continuazione, unito ad un inesistente rispetto per le più elementari regole del codice della strada fanno si che sia altamente sconsigliato noleggiare un mezzo a due ruote, soprattutto per i neofiti come me, che ho come unica esperienza in motorino praticamente un solo giretto nelle campagne del Laos circa un anno e mezzo fa.
Ovviamente me ne sbatto le balle e tempo zero starò scorrazzando beatamente per quel labirinto di sensi unici che è Kuta, la città più turistica dell'isola, in cui mi perderò con una facilità incredibile almeno 20 volte!
Presa confidenza col mezzo e acquistata una improponibile cartina stradale di Bali, decido di cominciare l'esplorazione dell'isola da sud-est, cavalcando la nuova (e non ancora del tutto terminata) strada che bypassa le montagne, passando lungo la costa.
A parte il rischio costante di essere travolto da camion che trasportano sassi (ma quanti cazzo di sassi devono trasportare a Bali?) o di volare a causa delle voragini presenti lungo i tratti non ancora asfaltati, la strada si rivela piacevole e divertente ed è quindi con sommo dispiacere che l'abbandono all'altezza del bivio con Semarapura (o Klungkung che dir si voglia) per poi perdermi inevitabilmente nelle campagne balinesi anche grazie ad una segnaletica stradale che lascia alquanto desiderare e che fa di tutto per non farmi trovare la città di Ubud, la mia meta.
Ubud si può definire la capitale culturale di Bali, è famosa infatti per le danze, tra cui spicca la Barong, e per l'architettura tipica. Il posto devo ammettere che è una figata e lo stile di vita tranquillo che c'è qua fa da contraltare al bordello tipico di Kuta. Non è un caso infatti che rimanga in città per ben due giorni prima di ripartire verso nord.
Questa volta la meta è Trunyan, piccolo villaggio sulle rive del lago Batur e con alle spalle l'omonimo vulcano (omonimo del lago, non del villaggio), famoso per essere esploso anni addietro proprio durante un'importante cerimonia religiosa che si tiene una volta al secolo, uccidendo buona parte dei presenti. Trunyan è l'ultimo villaggio degli aborigeni tradizionali balinesi, i quali seguono una religione tutta loro e hanno la particolarità di non seppellire i defunti, lasciandoli marcire all'aria aperta all'interno di particolari gabbie di legno in un cimitero inaccessibile via terra: l'unico modo per accedervi è chiedere un passaggio in barca agli abitanti del villaggio e andarci via lago. Onestamente mi sono un po' preso male a chiedere a sta gente di darmi uno strappo per farmi vedere i loro parenti marcire, innanzitutto perchè mi sembrava proprio il classico turismo macabro sullo stile di quegli sfigati che vanno a Cogne a fotografare la villa della Franzoni tanto per capirci, e un po' perchè la gente del posto non ha la fama di essere tanto simpatica e/o ospitale.
Provo a sondare cautamente il terreno prima di avventurarmi in richieste che potrebbero essere offensive, ma capisco ben presto che a Bali la morte è vissuta in maniera totalmente diversa rispetto all'occidente e questo lo vedrò meglio anche in seguito.
Nessun problema dunque per il tizio che mi da il passaggio in barca, il quale mi spiega che loro dispongono di un quantitativo limitato di gabbie dove mettere i morti e quando nel villaggio schioppa qualcuno non si fanno nessun problema a liberare una gabbia, ammucchiando le vecchie ossa in una catasta in un angolo, dopodichè lasciano una manciata di riso e qualche rupia perchè il defunto possa pagare il Caronte balinese e stop.
Avendo sbrigato alla svelta la visita a Trunyan decido di proseguire verso la costa nord, quando però un'improvviso nubifragio mi sorprende dalle parti di Kintamani, obbligandomi a trovar rifugio in un internet cafè pieno zeppo di mocciosi incuriositi dalla mia presenza e ad acquistare un provvidenziale impermeabile da motociclista che mi salverà da una sicura broncopolmonite, visto che questa è la zona montana di Bali e l'aria è piuttosto freschina. Proseguo a singhiozzo, fermandomi quando comincia a piovere troppo e scannando di cristo quando invece finalmente la smette ed è così che arrivo fino ad Amed, villaggio sull'estremità orientale dell'isola.
Qui assisto alla seconda lezione sulla cultura dei morti a Bali: attratto da una folla di gente urlante, mi avvicino a questa specie di sagra paesana, con gente che mangia, ride, beve, canta, balla. Alchè chiedo a uno dei tizi presenti, che nel frattempo mi invita a unirmi a loro, che cosa stesse accadendo. Funerale, mi risponde il giovincello. "In che senso funerale???" - dico tra me e me - notando che non c'è una sola faccia triste o una mezza lacrima mentre dei giovani virgulti stanno decorando con fiori una specie di torre (detta Wadah) al cui interno sono contenute le ceneri del defunto.
Dopo tutta sta cerimonia i più forti del gruppo si caricano sulle spalle il Wadah e lo portano verso il mare, dove pregano un po' e alla fine lo distruggono a calci per poi buttarlo in mare, il tutto condito da fragorose risate. Il funerale più divertente che abbia mai visto!
L'indomani faccio ritorno a Kuta e sulla va del ritorno faccio a tempo a sperimentare di persona quanto siano stronzi gli sbirri locali che, con scuse poco plausibili, mi fermano per ben 3 volte nel giro di mezz'ora scucendomi la bellezza di 200.000 rupie di "mancia" per farmi mollare. Siccome pare che sia la prassi da queste parti, pago senza fare troppe menate, non prima però di aver loro augurato calorosamente di finire in un Wadah al più presto!
Il mio possente mezzo a due ruote! |
Album collegato: Indonesia
1 commento:
se vi serve le info + guida italiana per bali-lombok-gili, Kade Yasa e un balinese che vi aiuta sicuramente
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