Komodo, ma non Komodissimo
Che non fosse propriamente una passeggiata arrivare a Flores da Kupang via mare l'avevo già intuito prima della partenza stessa. Lascio la mia stanza di buon'ora per raggiungere il porto distante svariati chilometri dalla città e, una volta acquistato il biglietto di classe unica per Aimere, porto sulla costa sud-orientale di Flores, parte immediatamente il toto-nave: quale, tra i tre catorci galleggianti ancorati al molo sarà il mio? Le speranze che sia quella di mezzo, all'apparenza più nuova e di gran lunga quella con meno ruggine, sono abbattute sul nascere, la mia sarà ovviamente quella peggio conciata, un autentico relitto galleggiante che mi fa subito rimpiangere di non aver investito qualche centinaio di migliaia di rupie in più per prendere l'aereo che arriva diretto e comodo a Labuanbajo, città sulla costa occidentale di Flores, da cui partono le barche per Komodo, l'isola che ospita l'omonimo parco nazionale e dove vivono gli altrettanto omonimi draghi, in realtà dei grossi varani affetti da quello che gli studiosi definiscono "gigantismo insulare".
A bordo sono l'unico straniero: Tom, il ciclista neozelandese già conosciuto a Timor Est, non si presenta all'imbarco, e la cosa, unita al fatto che la nave parta alle 12.15 anzichè alle 2 come sarebbe dovuto essere, mi fa salire l'atroce dubbio di aver sbagliato nave, o perlomeno di aver preso una nave diversa da quella che avevo preventivato, dato che questa impiegherà ben ventidue ore per raggiungere la meta, mentre a Kupang nei giorni precedenti si parlava di 7-10 ore di navigazione.
Ormai è tardi per tirarsi indietro, mi accomodo, si fa per dire, quindi nella zona "Vip", ovvero quella dove perlomeno i sedili non sono in plastica dura, ma sono imbottiti, sebbene la cosa non li renda molto più comodi di quelli di seconda classe, anzi, almeno in seconda classe hanno avuto la decenza di non apporre i vetri alle finestre, facendo quindi passare una provvidenziale brezza marina che rende quasi d'obbligo una passeggiata di tanto in tanto verso la poppa della nave per combattere l'atroce caldo umido che tedia il viaggio di noi della "Kelas I".
Entro breve realizzo che forse le mie scorte d'acqua e cibo non sono sufficienti per l'intero viaggio, per fortuna scopro quasi immediatamente l'esistenza di una provvidenziale "cafetaria" in seconda classe, che, pena l'ascolto di terrificante musica indonesiana sparata a tutto volume, offre acqua, snack (i soliti orribili cracker dolce-salati) e addirittura una cena inclusa nel biglietto della nave a base di riso bollito (ovviamente), noodles e uovo sodo. Wow!
Incredibilmente riesco a dormire per svariate ore, accucciato come meglio mi riesce tra sedili, braccioli e bagagli, prima che l'afa terrificante del primo mattino, unita ad una collezione di musica country americana di cui perlomeno il sottoscritto avrebbe fatto volentieri a meno, mi tolga dalle braccia di Morfeo per riportarmi alle ultime, interminabili ore di navigazione prima di giungere alla meta finale. Beh, meta finale effettivamente è una definizione alquanto pretenziosa, visto che Aimere non ha proprio nulla da offrire ed urge, non appena sbarcati, un trasferimento immediato verso una delle cittadine all'interno dell'isola: Bajawa ad est oppure Ruteng o Labuanbajo ad ovest.
Decido di andare a Ruteng, paesone di montagna nel cuore della parte orientale di Flores, anche grazie alle convincenti motivazioni offerte da un driver che propone un comodo viaggio in macchina per 70.000 rupie, ottima alternativa ai terrificanti bus locali di cui non sento per niente il bisogno di sperimentare la scomodità.
Persino la Lonely Planet, guida solitamente piuttosto avvezza a tessere le lodi di posti dove in realtà non c'è nulla da fare o vedere, definisce Ruteng come "solo una scusa per scendere dal bus da/per Labuanbajo" ed effettivamente la descrizione calza a pennello. Mi accomodo all'hotel Losmen Agung I, uno dei posti più tristi dove mi sia mai capitato di passare la nottata, do un'occhiata in giro e mi convinco tempo zero a lasciarmi Ruteng alle spalle la mattina seguente.
I primi bus per Labuanbajo partono alle 7 del mattino dalla piazza centrale, e mentre mi accingo a lasciare l'albergo in tutta fretta per raggiungerla alle 6.50, mi viene incontro un tizio di cui mi sovviene memoria solo all'ultimo, con cui avevo distrattamente preso accordi la sera precedente per un comodo viaggio in macchina per le solite 70.000 rupie. Inutile dire che non mi faccio pregare e in un minuto salgo a bordo del mezzo che in quattro ore mi porterà a destinazione.
Labuanbajo mi ripropone uno scenario a cui non ero più abituato: i turisti!
Se a Timor Est il 99% delle facce bianche erano dell'ONU, a Timor Ovest e nelle montagne di Flores di occidentali quasi non ce n'erano proprio e a Rote erano solo vecchi surfisti in pensione, qua il turismo ha decisamente preso piede, quasi esclusivamente grazie agli innumerevoli siti per divers e snorkeler e al famoso Parco Nazionale di Komodo, la maggiore attrattiva locale.
Decido di soggiornare al Gardenia, un'hotel dagli standard a cui non ero decisamente più abituato, dove nel bagno privato della stanza c'è una doccia, dove se prendi una birra al bar te la mettono sul conto e dove un solerte receptionist, per arrotondare lo stipendio, propone delle barche di certi suoi amici per raggiungere Komodo in piccoli gruppi. All'inizio penso di dare un'occhiata alle numerose offerte delle agenzie turistiche in giro per la città prima di prendere una decisione circa il tour, poi però arriva la classica offerta che non si può rifiutare, ovvero condividere la barca con una coppietta di sposini sloveni per la miseria di due milioni di rupie in tre. Si partirà la mattina seguente.
Il tizio della barca si presenta puntuale alle otto del mattino, lo seguiamo quindi fino alla piccola imbarcazione che ci porterà in qualche ora verso la prima tappa del viaggio, l'isola di Rinca, dove non abbiamo nessuna difficoltà a trovare i famosi Draghi di Komodo, i quali, ben lungi dall'essere spaventati dagli esseri umani, scaldano il loro sangue freddo al sole perfino vicino alla stazione d'ingresso del Parco Nazionale, dove acquistiamo il diritto d'entrata e cominciamo una sessione di trekking di un paio d'ore accompagnati da una guida locale che ci spiega di più circa questi bestioni e le loro abitudini.
Il Varanus Komodoensis è un lucertolone degno di rispetto: lungo fino a 3 metri e pesante fino a 100kg, il nostro eroe dispone di un metodo di caccia quantomeno insolito, mordendo le proprie vittime, attende semplicemente che queste muoiano stroncate dall'infezione causata dai batteri presenti nella sua bocca.
La nottata la passiamo a bordo della barca al largo del villaggio di Komodo e di fronte ad un'isoletta ricoperta di mangrovie da cui centinaia di Flying Foxes di australiana memoria volano via al tramonto per andarsi a rifugiare chissà dove e chissà perchè e la sveglia alle 5 e mezzo della mattina successiva non risulta certo essere un problema, visto che la scarsità di vita notturna di bordo ci ha imposto di coricarci alle 7 di sera. Il secondo giorno è dedicato all'isola di Komodo, dove optiamo per un trekking più corto di circa un'ora e dove non incontreremo scimmie, ma molti più cervi.
Beh, ora direi che è decisamente ora di andare a Bali e a sto giro ho deciso che faccio il culone: ci vado in aereo!
A bordo sono l'unico straniero: Tom, il ciclista neozelandese già conosciuto a Timor Est, non si presenta all'imbarco, e la cosa, unita al fatto che la nave parta alle 12.15 anzichè alle 2 come sarebbe dovuto essere, mi fa salire l'atroce dubbio di aver sbagliato nave, o perlomeno di aver preso una nave diversa da quella che avevo preventivato, dato che questa impiegherà ben ventidue ore per raggiungere la meta, mentre a Kupang nei giorni precedenti si parlava di 7-10 ore di navigazione.
Ormai è tardi per tirarsi indietro, mi accomodo, si fa per dire, quindi nella zona "Vip", ovvero quella dove perlomeno i sedili non sono in plastica dura, ma sono imbottiti, sebbene la cosa non li renda molto più comodi di quelli di seconda classe, anzi, almeno in seconda classe hanno avuto la decenza di non apporre i vetri alle finestre, facendo quindi passare una provvidenziale brezza marina che rende quasi d'obbligo una passeggiata di tanto in tanto verso la poppa della nave per combattere l'atroce caldo umido che tedia il viaggio di noi della "Kelas I".
Entro breve realizzo che forse le mie scorte d'acqua e cibo non sono sufficienti per l'intero viaggio, per fortuna scopro quasi immediatamente l'esistenza di una provvidenziale "cafetaria" in seconda classe, che, pena l'ascolto di terrificante musica indonesiana sparata a tutto volume, offre acqua, snack (i soliti orribili cracker dolce-salati) e addirittura una cena inclusa nel biglietto della nave a base di riso bollito (ovviamente), noodles e uovo sodo. Wow!
Incredibilmente riesco a dormire per svariate ore, accucciato come meglio mi riesce tra sedili, braccioli e bagagli, prima che l'afa terrificante del primo mattino, unita ad una collezione di musica country americana di cui perlomeno il sottoscritto avrebbe fatto volentieri a meno, mi tolga dalle braccia di Morfeo per riportarmi alle ultime, interminabili ore di navigazione prima di giungere alla meta finale. Beh, meta finale effettivamente è una definizione alquanto pretenziosa, visto che Aimere non ha proprio nulla da offrire ed urge, non appena sbarcati, un trasferimento immediato verso una delle cittadine all'interno dell'isola: Bajawa ad est oppure Ruteng o Labuanbajo ad ovest.
Decido di andare a Ruteng, paesone di montagna nel cuore della parte orientale di Flores, anche grazie alle convincenti motivazioni offerte da un driver che propone un comodo viaggio in macchina per 70.000 rupie, ottima alternativa ai terrificanti bus locali di cui non sento per niente il bisogno di sperimentare la scomodità.
Persino la Lonely Planet, guida solitamente piuttosto avvezza a tessere le lodi di posti dove in realtà non c'è nulla da fare o vedere, definisce Ruteng come "solo una scusa per scendere dal bus da/per Labuanbajo" ed effettivamente la descrizione calza a pennello. Mi accomodo all'hotel Losmen Agung I, uno dei posti più tristi dove mi sia mai capitato di passare la nottata, do un'occhiata in giro e mi convinco tempo zero a lasciarmi Ruteng alle spalle la mattina seguente.
I primi bus per Labuanbajo partono alle 7 del mattino dalla piazza centrale, e mentre mi accingo a lasciare l'albergo in tutta fretta per raggiungerla alle 6.50, mi viene incontro un tizio di cui mi sovviene memoria solo all'ultimo, con cui avevo distrattamente preso accordi la sera precedente per un comodo viaggio in macchina per le solite 70.000 rupie. Inutile dire che non mi faccio pregare e in un minuto salgo a bordo del mezzo che in quattro ore mi porterà a destinazione.
Labuanbajo mi ripropone uno scenario a cui non ero più abituato: i turisti!
Se a Timor Est il 99% delle facce bianche erano dell'ONU, a Timor Ovest e nelle montagne di Flores di occidentali quasi non ce n'erano proprio e a Rote erano solo vecchi surfisti in pensione, qua il turismo ha decisamente preso piede, quasi esclusivamente grazie agli innumerevoli siti per divers e snorkeler e al famoso Parco Nazionale di Komodo, la maggiore attrattiva locale.
Decido di soggiornare al Gardenia, un'hotel dagli standard a cui non ero decisamente più abituato, dove nel bagno privato della stanza c'è una doccia, dove se prendi una birra al bar te la mettono sul conto e dove un solerte receptionist, per arrotondare lo stipendio, propone delle barche di certi suoi amici per raggiungere Komodo in piccoli gruppi. All'inizio penso di dare un'occhiata alle numerose offerte delle agenzie turistiche in giro per la città prima di prendere una decisione circa il tour, poi però arriva la classica offerta che non si può rifiutare, ovvero condividere la barca con una coppietta di sposini sloveni per la miseria di due milioni di rupie in tre. Si partirà la mattina seguente.
Il tizio della barca si presenta puntuale alle otto del mattino, lo seguiamo quindi fino alla piccola imbarcazione che ci porterà in qualche ora verso la prima tappa del viaggio, l'isola di Rinca, dove non abbiamo nessuna difficoltà a trovare i famosi Draghi di Komodo, i quali, ben lungi dall'essere spaventati dagli esseri umani, scaldano il loro sangue freddo al sole perfino vicino alla stazione d'ingresso del Parco Nazionale, dove acquistiamo il diritto d'entrata e cominciamo una sessione di trekking di un paio d'ore accompagnati da una guida locale che ci spiega di più circa questi bestioni e le loro abitudini.
Il Varanus Komodoensis è un lucertolone degno di rispetto: lungo fino a 3 metri e pesante fino a 100kg, il nostro eroe dispone di un metodo di caccia quantomeno insolito, mordendo le proprie vittime, attende semplicemente che queste muoiano stroncate dall'infezione causata dai batteri presenti nella sua bocca.
La nottata la passiamo a bordo della barca al largo del villaggio di Komodo e di fronte ad un'isoletta ricoperta di mangrovie da cui centinaia di Flying Foxes di australiana memoria volano via al tramonto per andarsi a rifugiare chissà dove e chissà perchè e la sveglia alle 5 e mezzo della mattina successiva non risulta certo essere un problema, visto che la scarsità di vita notturna di bordo ci ha imposto di coricarci alle 7 di sera. Il secondo giorno è dedicato all'isola di Komodo, dove optiamo per un trekking più corto di circa un'ora e dove non incontreremo scimmie, ma molti più cervi.
Beh, ora direi che è decisamente ora di andare a Bali e a sto giro ho deciso che faccio il culone: ci vado in aereo!
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