mercoledì 11 luglio 2012

La Pozzanghera d'Aral

Mi son sempre bullato con gli amici di essere uno scimmiato di geografia sin dai tempi delle elementari e ricordo perfettamente quando la maestra ci raccontò del Lago d'Aral, uno dei più grandi al mondo, tanto che era spesso chiamato anch'esso “mare”, il Mare d'Aral.
Il Lago d'Aral negli anni '60 e nel 2010
Solo in tempi recenti però mi è giunta all'orecchio la storia della catastrofe dell'Aral, un disastro ambientale che ha ridotto drasticamente la superficie del lago fino ad una piccola frazione di quello che era negli anni '60. La causa principale di tutto sto casino sono i sovietici, che imposero la monocoltura del cotone alla Repubblica Uzbeka, la quale doveva solo preoccuparsi di produrre migliaia di tonnellate di fiocchi bianchi che poi venivano impacchettati e spediti tali e quali in qualche parte dell'impero, dove qualcun altro doveva solo preoccuparsi di filare il tessuto per produrre magliette o mutande. All'epoca infatti non c'era una sola fabbrica in grado di trattare il cotone in tutto l'Uzbekistan, qua lo si coltivava e basta.
Il problema è che il cotone necessita di immense quantità d'acqua e indovinate un po' da dove la prendevano? Bravi, indovinato, dal Lago d'Aral o meglio dai suoi affluenti! Decenni di prelievi per irrigare i campi hanno abbassato il livello dell'acqua in maniera così evidente, che ormai l'Aral sembra una pozzanghera a confronto di quel che era un tempo.
Tutte le comunità di pescatori che si affacciavano sulle sue coste sono scomparse, sia per l'estinzione di ogni tipo di pesce dovuto all'aumento vertiginoso della salinità dell'acqua (oggi paragonabile a quella del Mar Morto), sia per il sopraggiungere di malattie respiratorie dovute alla sabbia salata sospinta dal vento, contaminata da pesticidi e diserbanti usati in quantità industriale nella zona.
Senza questo grosso specchio d'acqua a mitigare il clima, al giorno d'oggi le estati sono torride e gli inverni gelidi; le precipitazioni sono calate drasticamente, la fauna – non solo ittica – è praticamente estinta.
Le comunità più colpite furono Aralsk – sulla sponda kazaka – e  Moynaq su quella uzbeka, dove ho deciso di fare un salto per dare un'occhiata alla situazione.

Moynaq, Uzbekistan (Km 20885). Si arriva sul posto nel tardo pomeriggio in formazione da barzelletta (un italiano, un inglese, un tedesco, una polacca ed una svizzera) dopo parecchie ore di shared taxi che da Urgench è corso verso ovest attraversando gran parte della remota Regione Autonoma del Karakalpakstan, nell'Uzbekistan occidentale, terra dei Karakapi, una minoranza etnica apparentemente di origine kazaka.
Quando Moynaq era una città di pescatori
(foto da internet)
Dopo aver passato la “capitale” Nukus (città squallida, ma sede del famoso museo d'arte Savitsky) arriviamo a Kungrad (città squallida e basta) dove er tassinaro decide che non è il caso di andare oltre e ci affida alle amorevoli cure di un guidatore di Marshrutkas* che per una manciata di spiccioli percorre i rimanenti 140km di un paesaggio monotono e desolato.
Moynaq è come me l'aspettavo: triste. Di città tristi ne ho viste parecchie, ma nella mia top ten questa pare battere perfino Pripyat (Vedi foto) - città dell'Ucraina evaquata in una manciata di ore all'indomani dell'esplosione di Chernobyl – che almeno ha la scusa di essere una città abbandonata, mentre Moynaq è ancora abitata principalmente da vecchi che curano bambini, mentre i genitori sono in qualche città dei dintorni dove c'è ancora la possibilità di trovare un lavoro.
Lo scenario è post-apocalittico, con larghe strade polverose in cui l'unico rumore è il vento che tira su ancora più polvere, le case sono in rovina, così come l'unico hotel ancora funzionante della città, un decrepito edificio che pare aver visto giorni migliori e che sembra più uno squat che un posto dove pagare per passare la notte; in cui l'intera ala est è stata ribattezzata la bat-caverna, in quanto oltre una marcescente porta di legno hanno fatto il nido una colonia di pipistrelli ben poco amichevoli (lo scherzone da fare a tutti è: “vuoi vedere la bat-caverna?” per poi godersi lo spettacolo dell'ignaro amico fuggire a gambe levate urlando mentre le suddette bestiacce lo inseguono con istinti omicidi).

Diciamo che camminando per Moynaq mi sarei aspettato di incrociare da un momento all'altro un gruppo di punk con Ken Shiro che li fa esplodere entro 3 secondi colpendone un punto di pressione, in effetti questa sarebbe la location ideale per “Ken il Guerriero – The Movie” (tra l'altro che figata sarebbe, lo devono troppo fare!). Ma non divaghiamo...
Il Lago d'Aral oggi: notare la vecchia
linea costiera e le barche sul vecchio fondale
Il pezzo forte della zona sono però le barche arenate su quello che una volta era il fondo del Lago d'Aral, ma che ora è un arido deserto sabbioso che si estende a perdita d'occhio fin'oltre l'orizzonte.
Le barche, completamente in rovina ed arrugginite, sono l'unico indizio della presenza d'acqua in un passato nemmeno troppo lontano - oltre all'evidente linea costiera che corre a qualche decina di metri dal nostro fatiscente hotel - e pare siano state trasportate più vicino alla riva per renderle più facilmente accessibili agli sporadici turisti (cosa abbastanza squallida, ma c'è da pensare che quei quattro rottami sono l'unica fonte di guadagno per la gente rimasta sul posto) e per la gioia dei mocciosi che vivranno pure in un posto orrendo, ma perlomeno hanno un parco giochi invidiabile (almeno finchè le barche reggono alla ruggine e non fanno male a qualcuno!).

Chiedendo in giro pare sia anche possibile organizzare una gita verso quel che rimane del lago, ma i costi nettamente fuori budget (100 cocomeri a cranio per una macchinata da 4) fanno desistere anche i più convinti di noi, così si decide di ripartire l'indomani prendendo il sovraffollatissimo local bus che ci riporta a Nukus in poco meno di 4 ore da incubo, con gente ammassata, bambini vomitanti e scomodità a go-go. Ovviamente mettere un pullman in più al giorno non pare una soluzione percorribile, probabilmente secondo la stessa logica che governa i ristoranti uzbeki e che rende introvabile il Plov - il piatto nazionale (riso con carne e carote) - che quando finisce basta, non ce n'è più e tu gli dici: “Ma se sai che finisci il plov in 30 secondi perchè non ne fai di più?”. Non si sa, e intanto io mi ritrovo a mangiare carne di pecora e patate da 2 settimane mentre ucciderei per un piatto di riso.
Forse a Tashkent, ora che ci ritorno per raccattare il mio visto turkmeno, avrò maggiore successo.

* Marshrutka: minivan per il trasporto pubblico

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