It's raining mate
Alla facciazza del "Sunshine State", qua siamo ufficialmente sotto il diluvio.
Ma andiamo con ordine: fino a stamattina le nostre natiche erano parcheggiate ad Hervey Bay, punto di partenza per le gite su Fraser Island, l'isola di sabbia più grande del mondo, formata in millemilamilioni di anni dai depositi delle correnti marine al largo delle coste del Queensland.
L'isola, essendo parco naturale protetto, non ha strade asfaltate e l'unico modo per percorrere i suoi sabbiosi sentieri è organizzarsi con un 4x4 da noleggiare tramite agenzia o direttamente in loco, condividendolo con altra gente.
La batteria con cui ci siamo ritrovati a condividere la gita era così composta:
1) Israeliano randagio: auto-proclamatosi capogita tuttofare. Positivo perchè aveva la voglia di sbattersi che a me mancava.
2) Israeliana riccioluta: istruttrice di guida dell'esercito israeliano, anche se tutti noi ci chiediamo tutt'ora come sia possibile dato che è un animale al volante, tipo che mi fa le scalate in prima e pretende di farmi salite ripide su strade dissestate in quarta.
3) Canadese logorroica: la più precisina del gruppo, ma presto contagiata dal randagismo imperante.
4) Canadese barbuto: l'uomo che nel giro di una notte ha incrementato del 75% la nostra conoscenza sulle perversioni sessuali umanamente possibili.
5) Tedesco glabro: un uomo fissato con la depilazione maschile, ma che nello stesso tempo sostiene di non essere gay... bah.
6) Tedesco palestrato: una montagna di muscoli, anch'essi depilati. Forti sospetti su una liason con Tedesco glabro.
7) Inglesina dalle tette importanti: simpatica, carina e pure abbastanza porcellina da quanto mi è parso di capire.
8) Inglese con le cosce grosse: impossibile condividere un posto a sedere con ques'uomo dagli arti inferiori eccesivamente sviluppati.
9) Inglese sosia di Tom Cruise: ma con un taglio di capelli migliore.
Con questa composizione, dopo un accurato addestramento sulla guida su sabbia, partiamo fiduciosi da Hervey Bay alla volta dell'imbarco dei traghetti per Fraser Island, da dove salpiamo sotto un cielo minaccioso.
Il primo giorno scorre via abbastanza liscio: la pioggia arriva solo a tarda notte e la temperatura è decente, ce la facciamo quindi tranquillamente a vedere quello che dobbiamo vedere, arrivare al campo prestabilito, piazzare le tende e cominciare una festicciola a base di ettolitri d'alcol assieme ad un altro gruppo di tizi che era li con noi.
Non faccio un esagerazione quando dico che in tre giorni su Fraser avrò bevuto si e no due bicchieri d'acqua, tutto il resto dei liquidi era composto da vino, anzi, magari fosse stato vino, in realtà si trattava del terrificante goon, la versione australiana del Tavernello.
E infatti il secondo giorno parte subito male: i postumi della sbornia, uniti alla guida da cani di Tedesco palestrato e al terreno sconnesso fanno la prima vittima nel giro di 10 minuti: Inglese con le cosce grosse sbocca l'anima, seguito a ruota da me.
Dopo l'inizio un po' così, la situazione sembra mettersi sui binari giusti: visitiamo la Seventy-five miles beach, con relativo relitto incagliato e avvistiamo pure qualche dingo, l'animale tipico dell'isola, che in realtà non è nient'altro che un cane selvatico con la pelliccia rossa.
Verso sera iniziano i casini quando ci rendiamo conto del tramonto imminente e qualche psicolabile propone di accamparsi in spiaggia. Fortunatamente optiamo per appoggiarci ad un campeggio a 20Km nell'interno dell'isola perchè entro breve inizia il diluvio.
Arrivati al campeggio già col buio pesto e sotto una pioggia torrenziale ci rendiamo conto dell'impossibilità di piantare le tende e di far da mangiare. Dopo un breve briefing nei cessi del campeggio si raggiunge l'accordo all'unanimità. I cessi sono asciutti, grandi, luminosi e clamorosamente puliti: ci piazziamo qua!
Ed è a questo punto che si stenterebbe a credere al mio racconto, se non avessi delle prove fotografiche di quanto dico. Da un lato si piazzano i due israeliani a fare la pappa, mentre tutt'intorno la gente si industria per far diventare accogliente un cesso pubblico di un campeggio. Io, nel frattempo, bevo.
Dopo mangiato si inizia col solito circo dei drinking-games più improbabili che innalzano il livello alcolico e convogliano ben presto il discorso su quanto siano dei pervertiti gli anglosassoni e sul fatto che questi abbiano una parola per descrivere qualsiasi follia sessuale possibile e immaginabile.
Quanto dev'essere comodo dormire in delle docce pubbliche ampiamente illuminate è una cosa che non mi è dato sapere, visto che ho piazzato la branda sui sedili posteriori del 4x4, ma conosco almeno 9 persone che sapranno darvi una risposta a proposito.
Il giorno dopo, bagnati fradici, siamo tornati sul continente.
Ma andiamo con ordine: fino a stamattina le nostre natiche erano parcheggiate ad Hervey Bay, punto di partenza per le gite su Fraser Island, l'isola di sabbia più grande del mondo, formata in millemilamilioni di anni dai depositi delle correnti marine al largo delle coste del Queensland.
L'isola, essendo parco naturale protetto, non ha strade asfaltate e l'unico modo per percorrere i suoi sabbiosi sentieri è organizzarsi con un 4x4 da noleggiare tramite agenzia o direttamente in loco, condividendolo con altra gente.
La batteria con cui ci siamo ritrovati a condividere la gita era così composta:
1) Israeliano randagio: auto-proclamatosi capogita tuttofare. Positivo perchè aveva la voglia di sbattersi che a me mancava.
2) Israeliana riccioluta: istruttrice di guida dell'esercito israeliano, anche se tutti noi ci chiediamo tutt'ora come sia possibile dato che è un animale al volante, tipo che mi fa le scalate in prima e pretende di farmi salite ripide su strade dissestate in quarta.
3) Canadese logorroica: la più precisina del gruppo, ma presto contagiata dal randagismo imperante.
4) Canadese barbuto: l'uomo che nel giro di una notte ha incrementato del 75% la nostra conoscenza sulle perversioni sessuali umanamente possibili.
5) Tedesco glabro: un uomo fissato con la depilazione maschile, ma che nello stesso tempo sostiene di non essere gay... bah.
6) Tedesco palestrato: una montagna di muscoli, anch'essi depilati. Forti sospetti su una liason con Tedesco glabro.
7) Inglesina dalle tette importanti: simpatica, carina e pure abbastanza porcellina da quanto mi è parso di capire.
8) Inglese con le cosce grosse: impossibile condividere un posto a sedere con ques'uomo dagli arti inferiori eccesivamente sviluppati.
9) Inglese sosia di Tom Cruise: ma con un taglio di capelli migliore.
Con questa composizione, dopo un accurato addestramento sulla guida su sabbia, partiamo fiduciosi da Hervey Bay alla volta dell'imbarco dei traghetti per Fraser Island, da dove salpiamo sotto un cielo minaccioso.
Il primo giorno scorre via abbastanza liscio: la pioggia arriva solo a tarda notte e la temperatura è decente, ce la facciamo quindi tranquillamente a vedere quello che dobbiamo vedere, arrivare al campo prestabilito, piazzare le tende e cominciare una festicciola a base di ettolitri d'alcol assieme ad un altro gruppo di tizi che era li con noi.
Non faccio un esagerazione quando dico che in tre giorni su Fraser avrò bevuto si e no due bicchieri d'acqua, tutto il resto dei liquidi era composto da vino, anzi, magari fosse stato vino, in realtà si trattava del terrificante goon, la versione australiana del Tavernello.
E infatti il secondo giorno parte subito male: i postumi della sbornia, uniti alla guida da cani di Tedesco palestrato e al terreno sconnesso fanno la prima vittima nel giro di 10 minuti: Inglese con le cosce grosse sbocca l'anima, seguito a ruota da me.
Dopo l'inizio un po' così, la situazione sembra mettersi sui binari giusti: visitiamo la Seventy-five miles beach, con relativo relitto incagliato e avvistiamo pure qualche dingo, l'animale tipico dell'isola, che in realtà non è nient'altro che un cane selvatico con la pelliccia rossa.
Verso sera iniziano i casini quando ci rendiamo conto del tramonto imminente e qualche psicolabile propone di accamparsi in spiaggia. Fortunatamente optiamo per appoggiarci ad un campeggio a 20Km nell'interno dell'isola perchè entro breve inizia il diluvio.
Arrivati al campeggio già col buio pesto e sotto una pioggia torrenziale ci rendiamo conto dell'impossibilità di piantare le tende e di far da mangiare. Dopo un breve briefing nei cessi del campeggio si raggiunge l'accordo all'unanimità. I cessi sono asciutti, grandi, luminosi e clamorosamente puliti: ci piazziamo qua!
Ed è a questo punto che si stenterebbe a credere al mio racconto, se non avessi delle prove fotografiche di quanto dico. Da un lato si piazzano i due israeliani a fare la pappa, mentre tutt'intorno la gente si industria per far diventare accogliente un cesso pubblico di un campeggio. Io, nel frattempo, bevo.
Dopo mangiato si inizia col solito circo dei drinking-games più improbabili che innalzano il livello alcolico e convogliano ben presto il discorso su quanto siano dei pervertiti gli anglosassoni e sul fatto che questi abbiano una parola per descrivere qualsiasi follia sessuale possibile e immaginabile.
Quanto dev'essere comodo dormire in delle docce pubbliche ampiamente illuminate è una cosa che non mi è dato sapere, visto che ho piazzato la branda sui sedili posteriori del 4x4, ma conosco almeno 9 persone che sapranno darvi una risposta a proposito.
Il giorno dopo, bagnati fradici, siamo tornati sul continente.
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