Urumqi, dove il cinese è arabo!
Nota: ringrazio pubblicamente il gestore dell'unico internet cafè di tutta Urumqi per aver avuto il coraggio di dirmi che anche internet, come qualsiasi altra cosa in Cina tra l'altro, era "no possible" ed aver ritardato la pubblicazione di questo ed altri post di qualche giorno. Grazie, testadiminchia!
Dopo due mesi passati a cazzeggiare più o meno lungo la stessa asse longitudinale e senza mai di conseguenza fare un passo verso il ritorno a casa, giunge finalmente il momento di virare la rotta decisamente verso ovest, compiendo la lunga traversata sulla ferrovia che collega l'estremo oriente di Pechino con Urumqi, la città di un certo rilievo più ad occidente del territorio cinese.
In realtà le ore di treno potevano benissimo essere molte meno delle 46 da me spese (probabilmente la traversata più lunga di tutto il viaggio da Hong Kong all'Europa), ma al momento di fare il biglietto per il treno diretto tra la capitale e la mia meta, anche la gentile signorina allo sportello non ha potuto fare a meno di rispettare le tradizioni locali, sfoderandomi il più classico dei “no possible” e proponendomi una vascona alternativa con scalo nell'insulsa città di Lanzhou, allungandomi la gita di oltre 10 ore.
Poco male, in realtà alle vasche in treno sono ormai abituato e le 46 ore previste spaventano molto meno di quanto dovrebbero: il trucco sta tutto nello stare sereni, dimenticarsi dell'orologio, avere l'iPod con la batteria bella carica ed avere la modalità letargo pronta per essere attivata non appena si mette piede nella cuccetta che farà da casa per i successivi due giorni, con un pensiero a quelli che in una situazione ambientale simile devono farsi 10 anni di galera senza arrivare da nessuna parte. A loro non passa più, mica a me!
Le prime 17 ore fino a Lanzhou, maggiore centro della provincia del Gansu, scorrono via lisce come l'olio: partenza il pomeriggio, giusto il tempo di mettersi comodi, mangiare un po' di pappa e dormire come ghiri non appena fa buio, che al al risveglio è già ora di scendere. Easy peasy!
Lanzhou è la tipica cittadona della provincia cinese, squallida all'inverosimile, con la classica baraccopoli di mattoni di fango in periferia, il classico mega-cantiere di palazzoni da 25 piani e la classica stazione grigia e fredda da cui metto il naso fuori appena sceso dal treno giusto il tempo di realizzare che per fortuna il mio treno per Urumqi parte di li a un'ora e che mi posso lasciare alle spalle sto postaccio tempo zero, non senza una piccola lacrimuccia però: se fossi riuscito ad ottenere il Travel Permit per il Tibet da quei mangiamerda delle autorità cinesi, a quest'ora sarei in questa stessa stazione pronto a prendere un treno per Lhasa!
Si prosegue quindi per altre 29 interminabili ore attraverso le provincie del Gansu e dello Xinjiang, la più grossa, la più occidentale e la meno popolata di tutta la Cina. Da ste parti infatti si fa quasi fatica a credere di essere nello stesso paese che ha un miliardo e passa di abitanti: il treno passa per centinaia di chilometri senza incrociare niente che non sia arido deserto senza nemmeno un filo d'erba ed a spezzare la monotonia ci pensa al massimo qualche baracca ad uso dei manutentori della ferrovia. Non una città, non un villaggio, non un segno di vita.
La compagnia poi non è delle più loquaci: i backpacker 20enni che ronzavano per la east-coast cinese con le loro belle magliettine di Full Moon Party di thailandese memoria sono volatilizzati come per magia non appena varcata la soglia della stazione di Pechino-ovest, mi tocca quindi sorbirmi i soliti sguardi incuriositi degli autoctoni i quali – non appena il più intraprendente di loro ha il coraggio e la capacità di chiedermi da dove vengo – fanno partire il solito teatrino:
Aaaaah, Itttaly... Esì Milàn... Lippi...
Ora, all'Esì (A.C.) Milàn ormai ci avevo fatto il callo, ma dover essere accostato addirittura a quel fango di Marcello Lippi – famoso da ste parti per essere finito, non si sa bene come, ad allenare il Guangzhou – mi pare troppo.
Ingoio il rospo. Tentare di spiegare le ragioni del mio fastidio va oltre le mie capacità di semplificazione della lingua inglese, oltre che sembrare piuttosto scortese, d'altra parte se in Cina non sono famosi per essere degli intenditori di calcio un motivo ci sarà!
Urumqi, Cina (Km.14338). Urumqi (che per qualche strana ragione i cinesi pronunciano Wulumuchi) sarebbe un posto a malapena degno di citazione se non fosse per due curiosità: la prima è che è la città al mondo più lontana dal mare, distando infatti quasi duemilacinquecento chilometri dalla costa più vicina, la seconda è la storia dell'orario non ufficiale di Urumqi: dovete sapere infatti che ai governanti pechinesi non devono aver ancora spiegato come funzionano i fusi orari, tanto che in tutto l'immenso territorio cinese vige la stessa ora. Peccato che Urumqi sia a 3500km a ovest di Pechino, in una zona che dovrebbe stare 2 ore indietro rispetto alla capitale.
Nessun problema, le soluzioni sono due: un orario parallelo e non ufficiale del tipo Pechino-meno-due (accertarsi sempre di che orario si sta parlando quando si prende un appuntamento ad Urumqi) e, per le istituzioni pubbliche che non possono avere orari non-ufficiali, lo slittamento di un paio d'ore dell'orario di ufficio: tutto chiuso fino alle 10 del mattino, ma si rimane aperti fino alle 19.
La prima missione appena scesi dal treno è trovare la branda nell'ostello prenotato da Pechino, impresa molto più facile a dirsi che a farsi: nonostante le indicazioni guidassero decisamente ad una vietta a pochi passi dalla stazione, del Maitian Hostel nemmeno l'ombra, o meglio, un simil-ostello c'era anche, ma da ste parti evidentemente di occidentali ne vedono ben pochi, quindi zero insegne in caratteri latini, ma solo i soliti ideogrammi cinesi sottotitolati... in arabo!
Urumqi è infatti una città di confine a maggioranza musulmana ed è tutt'altro che raro vedere gente con lineamenti ed abiti tipici più del Medio Oriente che della Cina; le vie e i negozi sono indicati in doppia lingua cinese-araba o al massimo in caratteri cirillici vista la vicinanza con parecchie repubbliche ex-sovietiche, ma di lettere latine nemmeno l'ombra!
Inutile dire che chiedere informazioni è anche qui una mission impossible, nessuno ha mai sentito nominare sto Maitian Hostel, così come nessuno ha la minima idea su dove si prendano i biglietti del pullman per la mia prossima meta, Almaty, in Kazakistan, tanto meno quelle due rincoglionite delle receptionist dell'hotel in cui vado a rimediare una branda di scorta per la notte.
Come al solito mi arrangio da solo che faccio prima: alle 19 del giorno dopo (ora di Pechino!) si parte dalla Stazione Nord dei pullman e la mattina seguente si varca il confine.
Dopo due mesi passati a cazzeggiare più o meno lungo la stessa asse longitudinale e senza mai di conseguenza fare un passo verso il ritorno a casa, giunge finalmente il momento di virare la rotta decisamente verso ovest, compiendo la lunga traversata sulla ferrovia che collega l'estremo oriente di Pechino con Urumqi, la città di un certo rilievo più ad occidente del territorio cinese.
In realtà le ore di treno potevano benissimo essere molte meno delle 46 da me spese (probabilmente la traversata più lunga di tutto il viaggio da Hong Kong all'Europa), ma al momento di fare il biglietto per il treno diretto tra la capitale e la mia meta, anche la gentile signorina allo sportello non ha potuto fare a meno di rispettare le tradizioni locali, sfoderandomi il più classico dei “no possible” e proponendomi una vascona alternativa con scalo nell'insulsa città di Lanzhou, allungandomi la gita di oltre 10 ore.
Poco male, in realtà alle vasche in treno sono ormai abituato e le 46 ore previste spaventano molto meno di quanto dovrebbero: il trucco sta tutto nello stare sereni, dimenticarsi dell'orologio, avere l'iPod con la batteria bella carica ed avere la modalità letargo pronta per essere attivata non appena si mette piede nella cuccetta che farà da casa per i successivi due giorni, con un pensiero a quelli che in una situazione ambientale simile devono farsi 10 anni di galera senza arrivare da nessuna parte. A loro non passa più, mica a me!
Le prime 17 ore fino a Lanzhou, maggiore centro della provincia del Gansu, scorrono via lisce come l'olio: partenza il pomeriggio, giusto il tempo di mettersi comodi, mangiare un po' di pappa e dormire come ghiri non appena fa buio, che al al risveglio è già ora di scendere. Easy peasy!
Lanzhou è la tipica cittadona della provincia cinese, squallida all'inverosimile, con la classica baraccopoli di mattoni di fango in periferia, il classico mega-cantiere di palazzoni da 25 piani e la classica stazione grigia e fredda da cui metto il naso fuori appena sceso dal treno giusto il tempo di realizzare che per fortuna il mio treno per Urumqi parte di li a un'ora e che mi posso lasciare alle spalle sto postaccio tempo zero, non senza una piccola lacrimuccia però: se fossi riuscito ad ottenere il Travel Permit per il Tibet da quei mangiamerda delle autorità cinesi, a quest'ora sarei in questa stessa stazione pronto a prendere un treno per Lhasa!
Si prosegue quindi per altre 29 interminabili ore attraverso le provincie del Gansu e dello Xinjiang, la più grossa, la più occidentale e la meno popolata di tutta la Cina. Da ste parti infatti si fa quasi fatica a credere di essere nello stesso paese che ha un miliardo e passa di abitanti: il treno passa per centinaia di chilometri senza incrociare niente che non sia arido deserto senza nemmeno un filo d'erba ed a spezzare la monotonia ci pensa al massimo qualche baracca ad uso dei manutentori della ferrovia. Non una città, non un villaggio, non un segno di vita.
La compagnia poi non è delle più loquaci: i backpacker 20enni che ronzavano per la east-coast cinese con le loro belle magliettine di Full Moon Party di thailandese memoria sono volatilizzati come per magia non appena varcata la soglia della stazione di Pechino-ovest, mi tocca quindi sorbirmi i soliti sguardi incuriositi degli autoctoni i quali – non appena il più intraprendente di loro ha il coraggio e la capacità di chiedermi da dove vengo – fanno partire il solito teatrino:
Aaaaah, Itttaly... Esì Milàn... Lippi...
Ora, all'Esì (A.C.) Milàn ormai ci avevo fatto il callo, ma dover essere accostato addirittura a quel fango di Marcello Lippi – famoso da ste parti per essere finito, non si sa bene come, ad allenare il Guangzhou – mi pare troppo.
Ingoio il rospo. Tentare di spiegare le ragioni del mio fastidio va oltre le mie capacità di semplificazione della lingua inglese, oltre che sembrare piuttosto scortese, d'altra parte se in Cina non sono famosi per essere degli intenditori di calcio un motivo ci sarà!
Urumqi, Cina (Km.14338). Urumqi (che per qualche strana ragione i cinesi pronunciano Wulumuchi) sarebbe un posto a malapena degno di citazione se non fosse per due curiosità: la prima è che è la città al mondo più lontana dal mare, distando infatti quasi duemilacinquecento chilometri dalla costa più vicina, la seconda è la storia dell'orario non ufficiale di Urumqi: dovete sapere infatti che ai governanti pechinesi non devono aver ancora spiegato come funzionano i fusi orari, tanto che in tutto l'immenso territorio cinese vige la stessa ora. Peccato che Urumqi sia a 3500km a ovest di Pechino, in una zona che dovrebbe stare 2 ore indietro rispetto alla capitale.
Nessun problema, le soluzioni sono due: un orario parallelo e non ufficiale del tipo Pechino-meno-due (accertarsi sempre di che orario si sta parlando quando si prende un appuntamento ad Urumqi) e, per le istituzioni pubbliche che non possono avere orari non-ufficiali, lo slittamento di un paio d'ore dell'orario di ufficio: tutto chiuso fino alle 10 del mattino, ma si rimane aperti fino alle 19.
La prima missione appena scesi dal treno è trovare la branda nell'ostello prenotato da Pechino, impresa molto più facile a dirsi che a farsi: nonostante le indicazioni guidassero decisamente ad una vietta a pochi passi dalla stazione, del Maitian Hostel nemmeno l'ombra, o meglio, un simil-ostello c'era anche, ma da ste parti evidentemente di occidentali ne vedono ben pochi, quindi zero insegne in caratteri latini, ma solo i soliti ideogrammi cinesi sottotitolati... in arabo!
Urumqi è infatti una città di confine a maggioranza musulmana ed è tutt'altro che raro vedere gente con lineamenti ed abiti tipici più del Medio Oriente che della Cina; le vie e i negozi sono indicati in doppia lingua cinese-araba o al massimo in caratteri cirillici vista la vicinanza con parecchie repubbliche ex-sovietiche, ma di lettere latine nemmeno l'ombra!
Inutile dire che chiedere informazioni è anche qui una mission impossible, nessuno ha mai sentito nominare sto Maitian Hostel, così come nessuno ha la minima idea su dove si prendano i biglietti del pullman per la mia prossima meta, Almaty, in Kazakistan, tanto meno quelle due rincoglionite delle receptionist dell'hotel in cui vado a rimediare una branda di scorta per la notte.
Come al solito mi arrangio da solo che faccio prima: alle 19 del giorno dopo (ora di Pechino!) si parte dalla Stazione Nord dei pullman e la mattina seguente si varca il confine.
2 commenti:
non so se sia verità o cazzata e non so nemmeno se la cosa ti sia di conforto però l'altro giorno in radio dicevano che le autorità cinesi hanno chiuso il TIBET a tutti i turisti indistintamente fino a data da definirsi in seguito alle ultime manifestazioni di protesta...
Ah si? Questo spiegherebbe molte cose!
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