Mongolia tanta roba (no ma voi continuate pure a buttare via i soldi per andare ad Ibiza...) - Seconda parte
(Continua dalla puntata precedente)
Galateo da Ger
Innanzitutto una parentesi: ma ste capanne mongole non si chiamavano Yurta* una volta?
No perchè da ste parti si parla solo di Ger (o “gher” secondo la traslitterazione all'italiana); dovrò indagare su sta storia. Vabbè, chiusa parentesi.
Il Ger è l'abitazione per antonomasia per i nomadi mongoli: facile e rapida da montare, relativamente leggera, calda ed economica, insomma l'ideale per i quattro spostamenti (uno per stagione) che gli autoctoni fanno ogni anno alla ricerca di pascoli più verdi per il bestiame o di posti più riparati per l'inverno.
La pianta è rotonda per fare meno resistenza al vento e l'ingresso è sempre rivolto verso sud, in quanto i terribili venti mongoli provengono quasi sempre da nord, per cui se vi perdete in Mongolia, non sapete in che direzione state andando e non c'è il sole, potete sempre usare un Ger come bussola.
All'interno si trovano due letti sui lati est ed ovest ed un piccolo altare sempre sul lato nord; al centro un'efficiente stufa alimentata a legna o carbone se ci si trova nelle zone settentrionali dotate di alberi, o direttamente a sterco animale se ci si trova nel Deserto dei Gobi a sud.
Da ste parti dimenticate pure le vostre buone maniere imparate ad Oxford, qua non contano niente, ricordatevi questo piuttosto: proibitissimo sostare, sedersi o calpestare l'ùscio (porta sfiga), soffiarsi il naso davanti a tutti, regalare specchi (attraggono gli spiriti malvagi) o toccare e/o passare attraverso i due pali centrali che reggono la baracca, in compenso nessuno farà storie se abbandonate i vostri commensali nel bel mezzo della cena per andare a farvi i cazzi vostri.
Quando una famiglia nomade vi accoglie a casa propria è cosa buona e giusta attaccare bottone chiedendo dell'andamento dei pascoli e della salute delle capre, piuttosto che fare domande personali, regola questa puntualmente infranta da Terzogrado, la quale proprio non ce la faceva ad evitare l'interrogatorio su chi fosse padre di chi, su dove fossero i figli, su quanti anni avesse il nonno etc... scatenando occhiatacce di Gotov ed imbarazzo galoppante.
La vita del nomade mongolo è assai spartana: i letti, pur esistendo, sono dotati di materassi duri come pietre; i cuscini paiono una moda non ancora arrivata da queste parti, il cesso è spesso la montagna o la piccola valle a poche decine di metri dall'accampamento (i più avanzati scavano pozzi nel terreno, a volte per evitare di pisciare di notte nelle montagne infestate da lupi); l'elettricità, quando c'è, è fornita da un piccolo pannello solare che carica una batteria da camion. L'acqua è prelevata da laghi, fiumi o pozzi e non esistono docce, ad onor del vero abbastanza superflue visto il clima estremamente secco che evita di pezzare come caimani.
Si insomma rassegnatevi, il Club Med è lungi da venire da ste parti!
Non ci sono più le mezze stagioni
Dopo Ulan Bator, la cosa più brutta della Mongolia è il clima: tira perennemente un gelido vento fottuto dalla Siberia il quale riesce però a farsi rimpiangere nei rari momenti in cui cessa, scatenando una caldazza opprimente.
La neve può cadere fino a giugno ed abbiamo anche avuto modo di sperimentarlo grazie alle famose quattro-stagioni-in-un-giorno della Mongolia: il giorno prima 25 gradi, verso sera un po' di vento che porta le nuvole e la mattina dopo ci si sveglia con la neve per terra. Follia.
Il freddo che c'è da ste parti d'inverno è qualcosa di difficilmente immaginabile: normalmente la media si aggira intorno ai -25°/-30° (e già ve lo spiego a sfoderare le natiche per fare cacchina sulle montagne a -30°!!!), ma scolpiti nella memoria mongola ci sono alcune annate particolarmente gelide anche per gli standard locali, con minime intorno ai -50°/-60°, come per esempio nel 1944, oppure i sette/otto inverni rigidi consecutivi che pare abbiano piegato definitivamente la supremazia mongola sulla zona circa 300 anni orsono.
Si, diciamo che se pianificate di andare in Mongolia tra ottobre ed aprile, un maglioncino di scorta fossi in voi me lo porterei.
Uappa uappa è l'ora della pappa
La prima cosa che si nota da ste parti – cosa estremamente positiva tralaltro – è che non si usano le bacchette: niente più mezze porzioni di noodles sulla camicia o lotte estenuanti con chicchi di riso che non ne vogliono sapere di compiere il tragitto ciotola-bocca, da ste parti la forchetta – la più grande invenzione dopo la ruota, il fuoco e la passera – la fa da padrone. Cinesi, prendete appunti!
Il menu invece potrebbe aver bisogno di qualche ritocchino, ma non ci si lamenta: la cucina di Gotov non meriterà le 3 stelle della Guida Michelin, ma il piatto, almeno il sottoscritto, l'ha sempre vuotato.
Il menu ricorda spesso quella famosa pubblicità sul calore dei baresi: aglio, cipolla, pomodori e una manciata di riso... perchè il riso va dentro alla carota e/o alla patata!
Non credo di aver mai mangiato tante carote/patate in vita mia, per fortuna ogni tanto Gotov in versione cuoco - per quanto apprezzato e rispettato - si prendeva una pausa lasciando alla padrona di Ger il compito di sfamarci a colpi di noodles mongoli e carne dell'animale più trendy della zona che poteva essere la capra, il cammello o lo yak. Yum Yum!
Beh alla fine Mongolia o Ibiza?
Insomma, per concludere si può dire che la Mongolia è come il Glen Grant, per molti, ma non per tutti per cui se:
1) Non siete di bocca buona
2) Soffrite il mal d'auto
3) Non sopportate l'idea di non lavarvi per 10/15 giorni
4) Siete psicologicamente bloccati a fare pipirina all'aperto
5) Siete fondamentalmente dei gran cagaminchia...
...beh allora considerate l'idea di continuare a buttare i vostri soldi in ingressi del Pacha di Ibiza, perchè il Deserto dei Gobi non fa decisamente per voi!
(In caso contrario vi suggerisco di rivolgervi a loro: precisi, onesti, relativamente economici ed affidabili)
*Ho indagato: il Ger è il nome mongolo dello Yurta, che si usa anche nell'Asia Centrale
Galateo da Ger
Innanzitutto una parentesi: ma ste capanne mongole non si chiamavano Yurta* una volta?
No perchè da ste parti si parla solo di Ger (o “gher” secondo la traslitterazione all'italiana); dovrò indagare su sta storia. Vabbè, chiusa parentesi.
Il Ger è l'abitazione per antonomasia per i nomadi mongoli: facile e rapida da montare, relativamente leggera, calda ed economica, insomma l'ideale per i quattro spostamenti (uno per stagione) che gli autoctoni fanno ogni anno alla ricerca di pascoli più verdi per il bestiame o di posti più riparati per l'inverno.
La pianta è rotonda per fare meno resistenza al vento e l'ingresso è sempre rivolto verso sud, in quanto i terribili venti mongoli provengono quasi sempre da nord, per cui se vi perdete in Mongolia, non sapete in che direzione state andando e non c'è il sole, potete sempre usare un Ger come bussola.
All'interno si trovano due letti sui lati est ed ovest ed un piccolo altare sempre sul lato nord; al centro un'efficiente stufa alimentata a legna o carbone se ci si trova nelle zone settentrionali dotate di alberi, o direttamente a sterco animale se ci si trova nel Deserto dei Gobi a sud.
Da ste parti dimenticate pure le vostre buone maniere imparate ad Oxford, qua non contano niente, ricordatevi questo piuttosto: proibitissimo sostare, sedersi o calpestare l'ùscio (porta sfiga), soffiarsi il naso davanti a tutti, regalare specchi (attraggono gli spiriti malvagi) o toccare e/o passare attraverso i due pali centrali che reggono la baracca, in compenso nessuno farà storie se abbandonate i vostri commensali nel bel mezzo della cena per andare a farvi i cazzi vostri.
Quando una famiglia nomade vi accoglie a casa propria è cosa buona e giusta attaccare bottone chiedendo dell'andamento dei pascoli e della salute delle capre, piuttosto che fare domande personali, regola questa puntualmente infranta da Terzogrado, la quale proprio non ce la faceva ad evitare l'interrogatorio su chi fosse padre di chi, su dove fossero i figli, su quanti anni avesse il nonno etc... scatenando occhiatacce di Gotov ed imbarazzo galoppante.
La vita del nomade mongolo è assai spartana: i letti, pur esistendo, sono dotati di materassi duri come pietre; i cuscini paiono una moda non ancora arrivata da queste parti, il cesso è spesso la montagna o la piccola valle a poche decine di metri dall'accampamento (i più avanzati scavano pozzi nel terreno, a volte per evitare di pisciare di notte nelle montagne infestate da lupi); l'elettricità, quando c'è, è fornita da un piccolo pannello solare che carica una batteria da camion. L'acqua è prelevata da laghi, fiumi o pozzi e non esistono docce, ad onor del vero abbastanza superflue visto il clima estremamente secco che evita di pezzare come caimani.
Si insomma rassegnatevi, il Club Med è lungi da venire da ste parti!
Non ci sono più le mezze stagioni
Dopo Ulan Bator, la cosa più brutta della Mongolia è il clima: tira perennemente un gelido vento fottuto dalla Siberia il quale riesce però a farsi rimpiangere nei rari momenti in cui cessa, scatenando una caldazza opprimente.
Ma siii, una bella nevicatina di fine maggio! (Figuratevi a gennaio!) |
Il freddo che c'è da ste parti d'inverno è qualcosa di difficilmente immaginabile: normalmente la media si aggira intorno ai -25°/-30° (e già ve lo spiego a sfoderare le natiche per fare cacchina sulle montagne a -30°!!!), ma scolpiti nella memoria mongola ci sono alcune annate particolarmente gelide anche per gli standard locali, con minime intorno ai -50°/-60°, come per esempio nel 1944, oppure i sette/otto inverni rigidi consecutivi che pare abbiano piegato definitivamente la supremazia mongola sulla zona circa 300 anni orsono.
Si, diciamo che se pianificate di andare in Mongolia tra ottobre ed aprile, un maglioncino di scorta fossi in voi me lo porterei.
Uappa uappa è l'ora della pappa
La prima cosa che si nota da ste parti – cosa estremamente positiva tralaltro – è che non si usano le bacchette: niente più mezze porzioni di noodles sulla camicia o lotte estenuanti con chicchi di riso che non ne vogliono sapere di compiere il tragitto ciotola-bocca, da ste parti la forchetta – la più grande invenzione dopo la ruota, il fuoco e la passera – la fa da padrone. Cinesi, prendete appunti!
Il menu invece potrebbe aver bisogno di qualche ritocchino, ma non ci si lamenta: la cucina di Gotov non meriterà le 3 stelle della Guida Michelin, ma il piatto, almeno il sottoscritto, l'ha sempre vuotato.
Il menu ricorda spesso quella famosa pubblicità sul calore dei baresi: aglio, cipolla, pomodori e una manciata di riso... perchè il riso va dentro alla carota e/o alla patata!
Non credo di aver mai mangiato tante carote/patate in vita mia, per fortuna ogni tanto Gotov in versione cuoco - per quanto apprezzato e rispettato - si prendeva una pausa lasciando alla padrona di Ger il compito di sfamarci a colpi di noodles mongoli e carne dell'animale più trendy della zona che poteva essere la capra, il cammello o lo yak. Yum Yum!
Beh alla fine Mongolia o Ibiza?
Insomma, per concludere si può dire che la Mongolia è come il Glen Grant, per molti, ma non per tutti per cui se:
1) Non siete di bocca buona
2) Soffrite il mal d'auto
3) Non sopportate l'idea di non lavarvi per 10/15 giorni
4) Siete psicologicamente bloccati a fare pipirina all'aperto
5) Siete fondamentalmente dei gran cagaminchia...
...beh allora considerate l'idea di continuare a buttare i vostri soldi in ingressi del Pacha di Ibiza, perchè il Deserto dei Gobi non fa decisamente per voi!
(In caso contrario vi suggerisco di rivolgervi a loro: precisi, onesti, relativamente economici ed affidabili)
*Ho indagato: il Ger è il nome mongolo dello Yurta, che si usa anche nell'Asia Centrale
Album collegato: Mongolia
2 commenti:
Stavo prenotando per Ibiza ma il punto 3 della tua lista mi ha convinto a rivedere i miei piani :D
Claro... nemici del sapone on tour! :)
Posta un commento