martedì 24 aprile 2012

Yuppies, casinò e uova chimiche, ovvero i primissimi duecento chilometri di zingarismo asiatico.

Il paradiso degli Yuppies
Hong Kong (Km.0). Il volo relativamente breve tra Kuala Lumpur e Hong Kong era stato tutt'altro che una passeggiata: le 12 ore per arrivare in Asia dalla Nuova Zelanda, unite ad 8 interminabili ore passate nell'osceno scalo malese, han fatto pesare l'ultimo tratto come un macigno, soprattutto quando, vista la tempesta che imperversava sulla Cina Meridionale, il capitano annunciava che saremmo atterrati a Macao anziché ad Hong Kong, dove ad attendermi c'era il mio socio M., a cui tra l'altro non avevo modo di comunicare l'eventuale dirottamento.
Che poi, immediatamente dopo l'annuncio, mi sarebbe venuto da andare a bussare alla porta blindata della cabina di pilotaggio, rischiando l'arresto pur di far notare al capitano che se c'è una tempesta sopra Hong Kong, c'è probabilmente la stessa tempesta sopra Macao, che dista giusto qualche decina di chilometri, anche se fortunatamente alla fine il pilota si ravvede ed ottiene il permesso per atterrare nella giusta destinazione dopo un'oretta passata a ronzare sopra le due città.

Hong Kong è diversa dal resto della Cina: hanno la loro moneta, le loro targhe, lingua e scrittura diverse (cantonese/cinese tradizionale) ed una frontiera vera e propria con controllo passaporti, dogana e tutto il resto, eppure  sui pennoni delle bandiere, di fianco alla bandiera “nazionale”, sventola la bandiera della Cina, che ha appioppato a questa città ed a Macao lo status di S.A.R., Special Administrative Region, annettendole, lasciandole però di fatto indipendenti.

Fanculo agli yuppies,
io rimango fedele
alla Tsingtao!
Hong Kong, innegabilmente uno dei centri finanziari mondiali, dev'essere anche un posto abbastanza trendy dove lavorare per uno yuppie in carriera: ti becchi in metropolitana ste orde di expat giaccacravattati con quello sguardo palesemente fiero, consapevole che dire “lavoro ad oncong” fa piuttosto figo e che  amano frequentare locali per stranieri che hanno lo stesso tipo di clientela che si può trovare nei posti per fighetti e/o finti ricchi di Milano, entusiasti di spendere 150HKD (circa 15 euro) per uno sputazzo di cocktail da sorseggiare sulla terrazza panoramica di sti bar-ristoranti effettivamente notevoli, sia per la vista sulla città che per l'arredamento, ma obiettivamente introvabili se non si hanno contatti sul posto: la maggior parte di essi si trova infatti all'ultimo piano di hotel o di palazzi ad uso ufficio in cui, non conoscendone il “livello nascosto”, non ci si azzarderebbe nemmeno ad entrare.
Io, che ovviamente mi ostinavo ad ordinare sempre la solita boccia di Tsingtao - la birra nazionalpopolare cinese - avevo costantemente l'impressione di essere considerato un barbone.

Un'altro fatto poco conosciuto di Hong Kong è che il suo territorio è più vasto di quanto si possa credere: generalmente ci si aspetta un'enorme città che confina direttamente con la Repubblica Popolare Cinese, mentre in realtà la città di Hong Kong - o perlomeno quella piena di palazzi e grattacieli sovrapopolati che rientra nell'immaginario collettivo - si estende solo nella parte meridionale, mentre a nord di essa si estende una vasta area - i New Territories - pressochè disabitata (beh insomma... più o meno!) piena di colline, foreste e verde. Vasti spazi ad Hong Kong: suona quasi strano!

Macao fa cagao
Macao (Km.65). Lascio Hong Kong sotto il diluvio universale a bordo della speedboat che in breve tempo ci porta ad attraccare nell'altra S.A.R. Cinese, Macao, l'ex colonia portoghese in cui le aspettative erano nulle, ed infatti è stata un'esperienza tutt'altro che entusiasmante. Tralasciando il quantitativo di acqua che ho preso, la piccola città sino-portoghese (i cartelli stradali, gli opuscoli e le scritte sono tutt'ora in doppia lingua) ha poco da offrire: chiese, rovine di chiese, casinò e case il cui stile pare un mix del peggio di cinesi e portoghesi.
Il Grand Lisboa in
tutta la sua sobrietà
In uno di questi casinò - il “Grand Lisboa” - in cui i cinesi della Repubblica Popolare e di Hong Kong amano sperperare i loro averi, siamo riusciti a trovare riparo dalla pioggia incessante. Il livello di pacchianeria di questo posto è imbarazzante: trattasi di un grattacielo dalla forma indecifrabile che fa sia da hotel che da casinò, presenta un sobrissimo esterno di un color oro talmente finto che ricorda la tonalità della plastica malamente verniciata per sembrare oro, all'interno poi è un tripudio di statue di dragoni, sculture cinesi in legno verniciate sempre d'oro e vistosi lampadari di cristallo.
I cessi sono ovviamente in (finto) oro con marmo nero ed i soffitti sono tappezzati di immagini di lingotti, monete e gioielli, indovinate di che metallo? Bravi, indovinato: d'oro!
Al casino pare che l'unico gioco sia il blackjack, i cui tavoli occupano l'80% della superficie dei due piani, dietro all'enorme bar del casino si alternano squallidi spettacolini di donne occidentali che ballano mezze nude per il tripudio del pubblico cinese evidentemente poco abituato a vedere femmine caucasiche da vicino. Ai bacomat non si può prelevare meno di 500 Patacas, la moneta di Macao, circa 50 euro. Tantissimo!
Alloggiamo all'Hotel Central, un postaccio che per livello di pulizia e mancanza di manutenzione potrebbe far concorrenza alla Chungking Mansion, frequentato da prostitute dalla dubbia femminilità e da cui siamo ben felici di andarcene il giorno dopo, oltrepassando la frontiera con la Repubblica Popolare Cinese.

Si fa presto a dire “biglietto del treno”
Guangzhou, Cina (Km.175). Ad Hong Kong le simpatiche donzelle locali amiche di M. che ci hanno fatto da guida durante il nostro soggiorno non sono mai state avare di raccomandazioni per noi intenzionati ad avventurarci nella Repubblica Popolare Cinese, da loro dipinta come una specie di paese da incubo, in cui tutti cercano di fregarti, dove la sporcizia è a livelli di guardia, dove la gente è diversa, più rozza, più “gialla” (testuali parole!), dove addirittura dei pazzi criminali mettono in commercio delle fantomatiche uova chimiche, simili in tutto e per tutto a delle uova vere, ma riconoscibili da alcune caratteristiche quali la viscosità ed il colore ed ovviamente velenosissime.
Su internet sta cosa delle uova finte cinesi
sono un caso internazionale: qua un
suggerimento canadese per riconoscerle.
La mia obiezione “ma non fanno prima a procurarsi delle uova vere che produrne di finte chissà dove/come?” non ha ottenuto repliche convincenti. Mi toccherà indagare di persona.
Effettivamente una volta passata la frontiera il livello di caos si moltiplica a dismisura, soprattutto una volta percorse le 3 ore di bus che separano il confine da Guangzhou, meglio nota in occidente come Canton, la terza città della Cina dopo Pechino e Shanghai, un posto in cui la metropolitana è sempre strapiena, a qualsiasi ora del giorno, ogni giorno!

Guangzhou a parte qualche sporadico tempio, un museo/mausoleo e dei grezzissimi parchi non ha molto da offrire, non a caso la presenza occidentale si concentra a Shamian Island, una tranquilla isoletta sul fiume che fa da barriera fisica al caos del resto della città e dove è possibile trovare gli unici english speakers nel raggio di 200km.
Quest'ultima cosa si rivela piuttosto tediosa nel momento in cui dedichiamo un pomeriggio a cercare dei biglietti per il treno che ci porterà alla prossima tappa, Jishou, nella provincia dell'Hunan: i treni cinesi sono notoriamente sovraffollati e bisogna muoversi per tempo! Ci rechiamo quindi subito alla stazione centrale dove la scena è poco incoraggiante: centinaia di persone formano una caotica fila per entrare nel terminal, mentre un'altra coda, altrettanto incasinata, fa a botte per ottenere un biglietto.
Optiamo per cercare un'agenzia turistica che ci faccia risparmiare tempo, ne troviamo una che però ci gela facendoci notare che ci vuole il passaporto per emettere un biglietto del treno in Cina: tempo di tornare in albergo a prenderlo e poi di nuovo all'agenzia che questa è chiusa. Sarà per il giorno dopo!
Ovviamente notare che l'inglese è totalmente off limits anche in hotel e agenzie turistiche, tanto che è necessario studiarsi e trascrivere in caratteri cinesi qualsiasi richiesta e poi mostrarla all'interlocutore, il quale non ha chiaramente la minima idea di come si leggano i caratteri latini. Poco male, almeno prima di andarmene dalla Cina potrò dire di sapere due parole della loro lingua!

Ah, per il momento comunque di uova finte ancora nessuna traccia.
Album collegato: Hong Kong & Macao (Cina)

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